Vorremmo qui citare alcuni esempi di disinformazione televisiva in tema di Islam, tratti da un paio di popolari e recenti trasmissioni televisive.
Purtroppo non possiamo farlo perché non possediamo apparecchi televisivi ed abbiamo un assoluto disprezzo per la cosiddetta "informazione televisiva", da anni ridotta in condizioni tali dal far sinceramente rimpiangere la Pravda dei tempi d'oro.
Non sappiamo neppure che faccia abbiano i conduttori dei talk show manipolati che da moltissimo tempo -e non gratis- rovesciano su quanto rimane della pubblica opinione tonnellate di menzogne ebefreniche e belliciste. L'eco delle false emergenze prodotte in quelle sedi, primario frutto della stupidità e del razzismo con cui il potere politico ed economico autoproducono la propria legittimazione, ha dato un contributo fondamentale alla putrefazione sociale e culturale del volgo stolido che bivacca nella penisola italiana.
Le origini del fenomeno si perdono ben addietro nel tempo e possono oggi contare su un apparato di strumenti, di tecniche e di prassi in grado di far giungere al pubblico, sempre ed in ogni situazione, il messaggio del potere senza curarsi neppure di salvare le apparenze.
La censura sessuofobica che colpiva la neonata televisione di stato fa perfino tenerezza, considerata alla luce di quella scienza esatta che porta il nome di senno di poi.
Il comico genovese Beppe Grillo ha ritrovato di recente una fortuna mediatica probabilmente insperata. Ma nel 1986 l'EIAR lo trattò come un appestato per una frecciata diretta contro l'allora onnipotente ed intoccabile Partito Socialista.
Nel 1991 Luigi Veronelli, intervistato stavolta da una di quelle che un tempo si chiamavano "tv libere" e che di libero non hanno mai avuto una sega nulla, si espresse in modo pesantemente negativo sul conto della Coca Cola. Bandito a vita, cosa della quale sembra non si sia lamentato per niente.
Nel corso degli ultimi decenni è avvenuta una cosa molto semplice: la censura che prima colpiva a posteriori e per motivi bene o male identificabili (non si toccano i politici che comandano alla televisione di stato, guai a disprezzare lo sponsor di una televisione privata) agisce tranquillamente in maniera preventiva e fin dalla messa in cantiere di una nuova serie di trasmissioni o dalla preparazione di una scaletta, senza dover fornire giustificativi di qualche genere. Una prassi talmente abituale che non viene neppure più contestata.
Nei cinque anni del governo Berlusconi la disinformazione è diventata metodica, non ha nulla da invidiare alla scuola sovietica di cui ha fatto tesoro, e nulla ha fatto per cambiare negli anni successivi (e perché mai cambiare, oltretutto?). Ogni telegiornale presenta gli avvenimenti quotidiani, con ampia preferenza per la cronaca nera più efferata e per la scaletta yankee dei nemici prossimi venturi, secondo la formula del "panino" la cui adozione viene fatta risalire a Clemente Mimun e che consente di screditare sistematicamente l'opposizione politica e sociale, riducendola a comparsa molesta o a folklore. Abolita l'intervista politica, il "panino" consiste nell'esporre per primo il punto di vista governativo o degli azionisti (ormai indistinguibili gli uni dagli altri, chiunque governi), dettato da fonte percepita come credibile ed autorevole; fa seguito un intervento minimo dell'opposizione sociale, scelto con criteri opposti; chiude in fine un nuovo intervento redatto come il primo. Il risultato combina effetto primacy ed effetto recency salvando l'apparenza del pluralismo e facendo in realtà passare esclusivamente il punto di vista dei padroni della baracca. Se il "panino" non basta a togliere di mezzo le voci contrarie, perché le porcate dei politicanti o dei padroni di là dall'Atlantico sono troppe e troppo grosse, c'è pronta nel cassetto l'accusa di terrorismo.
Nei "talk show" viene concessa ampia facoltà di linciaggio in quanto la loro unica funzione sta nella legittimazione del potere costituito. I protagonisti sono scelti con cura: individui percepiti come autorevoli e credbili nel ruolo dei difensori di chi comanda e di custodi degli interessi, individui percepibili come comici, insignificanti o anche pericolosi per la parte avversa. Il meccanismo funziona da talmente tanti anni che non è il caso di citare aneddotiche legate a casi specifici, bastando la visione di dieci minuti qualsiasi dell'intera produzione televisiva nazionale a fornirne esempio.
Talk show e telegiornali sono inframezzati, da anni, da programmi di totale vuotezza infarciti di femmine svestite ed indispensabili solo a riempire palinsesti lunghi ventiquattro ore e che esistono solo per la pubblicità. Una pubblicità vomitante prodotti sempre più dozzinali ed inutili, carrelli pieni per soli trenta euro, immobili che si muovono e quant'altro il capitalismo considera convenientemente smerciabile in un paese impoverito e cattivo. Ma qui si esce dal tema. Mettiamoci una pietra sopra -tombale, sì!- ricordando gli enrichimentana impacciati davanti al carnaio iracheno che ingoiava ieri come oggi centinaia di persone al giorno, e che sono costretti da anni a penose perifrasi pur di non contraddire George Bush, che aveva statuito la fine della guerra il primo maggio del 2003...
Purtroppo non possiamo farlo perché non possediamo apparecchi televisivi ed abbiamo un assoluto disprezzo per la cosiddetta "informazione televisiva", da anni ridotta in condizioni tali dal far sinceramente rimpiangere la Pravda dei tempi d'oro.
Non sappiamo neppure che faccia abbiano i conduttori dei talk show manipolati che da moltissimo tempo -e non gratis- rovesciano su quanto rimane della pubblica opinione tonnellate di menzogne ebefreniche e belliciste. L'eco delle false emergenze prodotte in quelle sedi, primario frutto della stupidità e del razzismo con cui il potere politico ed economico autoproducono la propria legittimazione, ha dato un contributo fondamentale alla putrefazione sociale e culturale del volgo stolido che bivacca nella penisola italiana.
Le origini del fenomeno si perdono ben addietro nel tempo e possono oggi contare su un apparato di strumenti, di tecniche e di prassi in grado di far giungere al pubblico, sempre ed in ogni situazione, il messaggio del potere senza curarsi neppure di salvare le apparenze.
La censura sessuofobica che colpiva la neonata televisione di stato fa perfino tenerezza, considerata alla luce di quella scienza esatta che porta il nome di senno di poi.
Il comico genovese Beppe Grillo ha ritrovato di recente una fortuna mediatica probabilmente insperata. Ma nel 1986 l'EIAR lo trattò come un appestato per una frecciata diretta contro l'allora onnipotente ed intoccabile Partito Socialista.
Nel 1991 Luigi Veronelli, intervistato stavolta da una di quelle che un tempo si chiamavano "tv libere" e che di libero non hanno mai avuto una sega nulla, si espresse in modo pesantemente negativo sul conto della Coca Cola. Bandito a vita, cosa della quale sembra non si sia lamentato per niente.
Nel corso degli ultimi decenni è avvenuta una cosa molto semplice: la censura che prima colpiva a posteriori e per motivi bene o male identificabili (non si toccano i politici che comandano alla televisione di stato, guai a disprezzare lo sponsor di una televisione privata) agisce tranquillamente in maniera preventiva e fin dalla messa in cantiere di una nuova serie di trasmissioni o dalla preparazione di una scaletta, senza dover fornire giustificativi di qualche genere. Una prassi talmente abituale che non viene neppure più contestata.
Nei cinque anni del governo Berlusconi la disinformazione è diventata metodica, non ha nulla da invidiare alla scuola sovietica di cui ha fatto tesoro, e nulla ha fatto per cambiare negli anni successivi (e perché mai cambiare, oltretutto?). Ogni telegiornale presenta gli avvenimenti quotidiani, con ampia preferenza per la cronaca nera più efferata e per la scaletta yankee dei nemici prossimi venturi, secondo la formula del "panino" la cui adozione viene fatta risalire a Clemente Mimun e che consente di screditare sistematicamente l'opposizione politica e sociale, riducendola a comparsa molesta o a folklore. Abolita l'intervista politica, il "panino" consiste nell'esporre per primo il punto di vista governativo o degli azionisti (ormai indistinguibili gli uni dagli altri, chiunque governi), dettato da fonte percepita come credibile ed autorevole; fa seguito un intervento minimo dell'opposizione sociale, scelto con criteri opposti; chiude in fine un nuovo intervento redatto come il primo. Il risultato combina effetto primacy ed effetto recency salvando l'apparenza del pluralismo e facendo in realtà passare esclusivamente il punto di vista dei padroni della baracca. Se il "panino" non basta a togliere di mezzo le voci contrarie, perché le porcate dei politicanti o dei padroni di là dall'Atlantico sono troppe e troppo grosse, c'è pronta nel cassetto l'accusa di terrorismo.
Nei "talk show" viene concessa ampia facoltà di linciaggio in quanto la loro unica funzione sta nella legittimazione del potere costituito. I protagonisti sono scelti con cura: individui percepiti come autorevoli e credbili nel ruolo dei difensori di chi comanda e di custodi degli interessi, individui percepibili come comici, insignificanti o anche pericolosi per la parte avversa. Il meccanismo funziona da talmente tanti anni che non è il caso di citare aneddotiche legate a casi specifici, bastando la visione di dieci minuti qualsiasi dell'intera produzione televisiva nazionale a fornirne esempio.
Talk show e telegiornali sono inframezzati, da anni, da programmi di totale vuotezza infarciti di femmine svestite ed indispensabili solo a riempire palinsesti lunghi ventiquattro ore e che esistono solo per la pubblicità. Una pubblicità vomitante prodotti sempre più dozzinali ed inutili, carrelli pieni per soli trenta euro, immobili che si muovono e quant'altro il capitalismo considera convenientemente smerciabile in un paese impoverito e cattivo. Ma qui si esce dal tema. Mettiamoci una pietra sopra -tombale, sì!- ricordando gli enrichimentana impacciati davanti al carnaio iracheno che ingoiava ieri come oggi centinaia di persone al giorno, e che sono costretti da anni a penose perifrasi pur di non contraddire George Bush, che aveva statuito la fine della guerra il primo maggio del 2003...