Una parte dei sudditi dello stato che occupa la penisola italiana -una parte purtroppo ancora maggioritaria, sembra- ha la pessima abitudine di tenere in casa un elettrodomestico che, una volta acceso, inonda l'ambiente in cui è posto di ciance e di immagini solitamente inutili, e con il quale si può interagire in modo efficace solo togliendogli l'alimentazione. Il privilegio di avere in casa un ordigno del genere comporterebbe addirittura l'esborso di una certa cifra, detta "canone", di cui risulta difficile ricostruire la destinazione ma che sicuramente va anche a finire in tasca ad alcuni dei tizi in cravatta e (in misura incommensurabilmente minore, sembra) ad alcune delle tizie con poca roba addosso che passano parte della giornata ad ideare, programmare e riferire a getto continuo le suddette ciance e le suddette immagini inutili. Sempre meglio che lavorare, d'accordo!
Ah, per gli interessati, le sequenze di ciance ed immagini delimitate in modo riconoscibile prendono il nome di "trasmissioni"; "trasmissioni" che ciancino con la medesime modalità e la medesima non cognizione di causa sono ripartite in "serie" costituite da "puntate".
Non possedendo dunque -e disprezzandolo proprio- l'elettrodomestico cianciante, non abbiamo mai visto "AnnoZero" e sappiamo a stento che faccia abbia questo Michele Santoro.
Pare che questo signore, in una puntata di quella trasmissione, si sia occupato a tutto campo di immigrazione, di "Islam", del "muro" di via Anelli a Padova e della costruzione di una moschea proprio in quella città. Tutta roba che, al di fuori del circuito demonizzatore asservito al potere, non suscita alcuna reazione scomposta o allarmata in chi sia solito documentarsi su questo o quell'aspetto del vivere usando mezzi meno demenziali, come i libri, la discussione con individui di diversa esperienza o siti web ben documentati. Il quadro che si riesce a tracciare facendo a meno del cianciatore catodico è diverso quanto basta a scardinare buona parte delle associazioni logiche cui si potrebbe indulgere davanti al mero accostamento degli argomenti su esposti. Ed evita anche di soggiacere alle logiche ed ai limiti del mezzo di comunicazione, spesso responsabili di figuracce e di evitabilissime testimonianze di incompetenza, come quella in cui pare sia incorso Michele, che all'asserzione di un sacerdote cattolico padovano secondo il quale per poter accogliere e confrontarsi con “culture ed identità altre” bisogna avere piena coscienza della propria -nel suo caso quella cristiana- obiettava in modo poco legato al contesto ed ancora meno efficace, tirando in ballo l'atteggiamento di "apertura a tutto e a tutti" che a sentir lui connotava Gesù Cristo... Un modo di obiettare più sensato e più contestualizzabile sarebbe stato, al limite, quello di far notare fino a che punto l'"Occidente" sia allegramente e non da oggi scristianizzato in maniera pressoché totale e che dunque poco abbia da opporre ad una fantascientifica "conquista islamica". C'è da rilevare che per ogni "occidentalista" che si rispetti, la geopolitica e la società non sono mai cambiate almeno dai tempi dell'assedio di Vienna; chi volesse interpretare con cognizione di causa la visionarietà di certi timori deve tenere ben presente questo punto di partenza.
Non pare dunque strano che gli "occidentalisti" attribuiscano in blocco agli "islamici" una forte identità religiosa e culturale e che li ritengano in generale capaci di ben poca empatia nei confronti “degli altri e diversi”; da dove derivi una simile certezza è difficile dirlo, perché le persone provenienti da dar al'Islam, una volta nella penisola italiana, trovano eccezionali difficoltà nel mantenere convinzioni e fede ad un grado apprezzabile di saldezza e la loro identità culturale rischia ad ogni momento di andare in pezzi davanti al diluvio di convenzioni sociali da quattro soldi, di status symbol di latta e di cartone, di modelli di consumo incoscienti che li sommerge ad ogni momento. Il tutto, ben inteso, nell'ipotesi che dar al'Islam produca a getto continuo sempre e soltanto credenti dalla forma mentis perfettamente strutturata e dal comportamento irreprensibile.
Risibile è in particolare, tra tutte le contrapposizioni intavolate in nome della denigrazione, quella in cui si oppone un Gesù che muore in croce per gli altri ad un Inviato che conduce personalmente guerre di conquista; il Libro nega che abbia subìto la morte in croce (sura IV, 157) e riconosce a Cristo tutte le prerogative riconosciutegli dai cristiani -anche alcune tra quelle comprese negli apocrifi- mentre l'Inviato appare nato uomo, morto da uomo e comportatosi da uomo del suo tempo; qualcosa di diverso nella sostanza, che rende il paragone neanche tentabile almeno nei termini in cui è posto. La cognizione di causa con cui gli "occidentalisti" affrontano ogni materia è d'altro canto tale che se ne trovano di capacissimi di utilizzare il vocabolo "terrorismo" per connotare gli usi di guerra nella società araba del VII secolo.
Nella società contemporanea, in cui la frammentazione sociale e l'individualismo sono incoraggiati in ogni circostanza e dove qualunque forma associata che non produca un reddito (o che non si indebiti a vita, come la tanto rispettata "famiglia") può aspettarsi di essere da un momento all'altro stigmatizzata e guardata con sospetto, pensare di poter contrapporre una "identità cristiana ed occidentale" metafisicamente buona ad una "identità islamica" metafisicamente perfida può suonare perfino comico. L'avvenuta scristianizzazione è un fenomeno ben noto ai sacerdoti cattolici, che, da voci ascoltate ed autorevoli nelle loro parrocchie, sono nel giro di pochi decenni divenuti delle figure assolutamente marginali in molta parte dell'"Occidente". I pochi che riescono in una pastorale efficace nelle comunità di base devono anche affrontare le invettive "occidentaliste" di settori minoritari ma ben ammanicati dell'opinione pubblica che non sono neanche in grado di rendersi conto (o cui più probabilmente non importa niente, essendo il denaro il loro vero dio e la repressione il loro vero interesse) che è l'impegno di individui del genere ad impedire al cattolicesimo di percorrere ulteriori e rapidissimi passi verso l'estinzione. A questo fenomeno se ne affianca un altro, parimenti ben noto, rappresentato dal relativismo dei credenti, arrivati al punto di ignorare in massa la dogmatica in favore di una sorta di "fai da te del sacro" che svuota la gerarchia ecclesiastica di funzioni, di meriti e di prestigio. L'intera questione è stata sviluppata, con discreta cognizione di causa, da Alain de Benoist, in un volume in cui analizza il complessivo fallimento della strategia di evangelizzazione promossa instancabilmente da Giovanni Paolo II. Vogliamo parlare di "Occidente cristiano" in queste condizioni? E vogliamo parlare di "scontro di civiltà"?
Sembra che in questa "AnnoZero" comparisse anche il vignettista Vauro Senesi, con compiti di non si sa bene quale tipo ma che hanno contrariato più di un "occidentalista"; in genere gli "occidentalisti" rimproverano alla satira di non accanirsi contro l'Inviato e contro l'"Islam", ignorando in fatto che per anni Andrea Pazienza (sodale di Vauro ai tempi del "Male") ed il Vernacoliere di Livorno si sono sfogati sul tema, dalla rivoluzione iraniana in avanti; era materia minoritaria, ai tempi, perché il babau al centro della scena era lo scontro est-ovest con americani e russi che si mostravano i denti a vicenda, ma si tratta tuttavia di produzioni ben rintracciabili. Il problema è che per rendersi conto della cosa occorre documentarsi, ed è probabile che l'"occidentalista" medio abbia le sue brave difficoltà anche a reperire e a leggere un albo a fumetti.
Ah, per gli interessati, le sequenze di ciance ed immagini delimitate in modo riconoscibile prendono il nome di "trasmissioni"; "trasmissioni" che ciancino con la medesime modalità e la medesima non cognizione di causa sono ripartite in "serie" costituite da "puntate".
Non possedendo dunque -e disprezzandolo proprio- l'elettrodomestico cianciante, non abbiamo mai visto "AnnoZero" e sappiamo a stento che faccia abbia questo Michele Santoro.
Pare che questo signore, in una puntata di quella trasmissione, si sia occupato a tutto campo di immigrazione, di "Islam", del "muro" di via Anelli a Padova e della costruzione di una moschea proprio in quella città. Tutta roba che, al di fuori del circuito demonizzatore asservito al potere, non suscita alcuna reazione scomposta o allarmata in chi sia solito documentarsi su questo o quell'aspetto del vivere usando mezzi meno demenziali, come i libri, la discussione con individui di diversa esperienza o siti web ben documentati. Il quadro che si riesce a tracciare facendo a meno del cianciatore catodico è diverso quanto basta a scardinare buona parte delle associazioni logiche cui si potrebbe indulgere davanti al mero accostamento degli argomenti su esposti. Ed evita anche di soggiacere alle logiche ed ai limiti del mezzo di comunicazione, spesso responsabili di figuracce e di evitabilissime testimonianze di incompetenza, come quella in cui pare sia incorso Michele, che all'asserzione di un sacerdote cattolico padovano secondo il quale per poter accogliere e confrontarsi con “culture ed identità altre” bisogna avere piena coscienza della propria -nel suo caso quella cristiana- obiettava in modo poco legato al contesto ed ancora meno efficace, tirando in ballo l'atteggiamento di "apertura a tutto e a tutti" che a sentir lui connotava Gesù Cristo... Un modo di obiettare più sensato e più contestualizzabile sarebbe stato, al limite, quello di far notare fino a che punto l'"Occidente" sia allegramente e non da oggi scristianizzato in maniera pressoché totale e che dunque poco abbia da opporre ad una fantascientifica "conquista islamica". C'è da rilevare che per ogni "occidentalista" che si rispetti, la geopolitica e la società non sono mai cambiate almeno dai tempi dell'assedio di Vienna; chi volesse interpretare con cognizione di causa la visionarietà di certi timori deve tenere ben presente questo punto di partenza.
Non pare dunque strano che gli "occidentalisti" attribuiscano in blocco agli "islamici" una forte identità religiosa e culturale e che li ritengano in generale capaci di ben poca empatia nei confronti “degli altri e diversi”; da dove derivi una simile certezza è difficile dirlo, perché le persone provenienti da dar al'Islam, una volta nella penisola italiana, trovano eccezionali difficoltà nel mantenere convinzioni e fede ad un grado apprezzabile di saldezza e la loro identità culturale rischia ad ogni momento di andare in pezzi davanti al diluvio di convenzioni sociali da quattro soldi, di status symbol di latta e di cartone, di modelli di consumo incoscienti che li sommerge ad ogni momento. Il tutto, ben inteso, nell'ipotesi che dar al'Islam produca a getto continuo sempre e soltanto credenti dalla forma mentis perfettamente strutturata e dal comportamento irreprensibile.
Risibile è in particolare, tra tutte le contrapposizioni intavolate in nome della denigrazione, quella in cui si oppone un Gesù che muore in croce per gli altri ad un Inviato che conduce personalmente guerre di conquista; il Libro nega che abbia subìto la morte in croce (sura IV, 157) e riconosce a Cristo tutte le prerogative riconosciutegli dai cristiani -anche alcune tra quelle comprese negli apocrifi- mentre l'Inviato appare nato uomo, morto da uomo e comportatosi da uomo del suo tempo; qualcosa di diverso nella sostanza, che rende il paragone neanche tentabile almeno nei termini in cui è posto. La cognizione di causa con cui gli "occidentalisti" affrontano ogni materia è d'altro canto tale che se ne trovano di capacissimi di utilizzare il vocabolo "terrorismo" per connotare gli usi di guerra nella società araba del VII secolo.
Nella società contemporanea, in cui la frammentazione sociale e l'individualismo sono incoraggiati in ogni circostanza e dove qualunque forma associata che non produca un reddito (o che non si indebiti a vita, come la tanto rispettata "famiglia") può aspettarsi di essere da un momento all'altro stigmatizzata e guardata con sospetto, pensare di poter contrapporre una "identità cristiana ed occidentale" metafisicamente buona ad una "identità islamica" metafisicamente perfida può suonare perfino comico. L'avvenuta scristianizzazione è un fenomeno ben noto ai sacerdoti cattolici, che, da voci ascoltate ed autorevoli nelle loro parrocchie, sono nel giro di pochi decenni divenuti delle figure assolutamente marginali in molta parte dell'"Occidente". I pochi che riescono in una pastorale efficace nelle comunità di base devono anche affrontare le invettive "occidentaliste" di settori minoritari ma ben ammanicati dell'opinione pubblica che non sono neanche in grado di rendersi conto (o cui più probabilmente non importa niente, essendo il denaro il loro vero dio e la repressione il loro vero interesse) che è l'impegno di individui del genere ad impedire al cattolicesimo di percorrere ulteriori e rapidissimi passi verso l'estinzione. A questo fenomeno se ne affianca un altro, parimenti ben noto, rappresentato dal relativismo dei credenti, arrivati al punto di ignorare in massa la dogmatica in favore di una sorta di "fai da te del sacro" che svuota la gerarchia ecclesiastica di funzioni, di meriti e di prestigio. L'intera questione è stata sviluppata, con discreta cognizione di causa, da Alain de Benoist, in un volume in cui analizza il complessivo fallimento della strategia di evangelizzazione promossa instancabilmente da Giovanni Paolo II. Vogliamo parlare di "Occidente cristiano" in queste condizioni? E vogliamo parlare di "scontro di civiltà"?
Sembra che in questa "AnnoZero" comparisse anche il vignettista Vauro Senesi, con compiti di non si sa bene quale tipo ma che hanno contrariato più di un "occidentalista"; in genere gli "occidentalisti" rimproverano alla satira di non accanirsi contro l'Inviato e contro l'"Islam", ignorando in fatto che per anni Andrea Pazienza (sodale di Vauro ai tempi del "Male") ed il Vernacoliere di Livorno si sono sfogati sul tema, dalla rivoluzione iraniana in avanti; era materia minoritaria, ai tempi, perché il babau al centro della scena era lo scontro est-ovest con americani e russi che si mostravano i denti a vicenda, ma si tratta tuttavia di produzioni ben rintracciabili. Il problema è che per rendersi conto della cosa occorre documentarsi, ed è probabile che l'"occidentalista" medio abbia le sue brave difficoltà anche a reperire e a leggere un albo a fumetti.