Nell'ottobre 2008 lo stato che occupa la penisola italiana è percorso dalla protesta studentesca. Il ministro dell'Istruzione autore di un progetto di riforma aspramente criticato si fa beccare in topiche eccezionali in quest'epoca di controllo mediatico ossessivo ed un egìda al posto di un'ègida già basta per passare un guaio in Senato.
I contestatori? "Terroristi", ovviamente.
Avendo fatto tesoro delle lezioni di propaganda tipiche dei regimi totalitari e possedendo in proprio la malafede ciarliera da piazzista di aspirapolvere del midwest statunitense, l'"occidentalismo" politicante si avvale a meraviglia dei mezzi di comunicazione di massa, di cui sa sfruttare come pochi tutti i pregi e tutti i difetti.
Da qualche anno però esistono nuovi media, come quello su cui compare questo scritto, che permettono a chiunque abbia un po' di tempo e di senso critico di portare agevolmente alla luce gli spaventosi limiti della politicanza suddetta. Silvio Berlusconi inonda la penisola italiana di propaganda da almeno quindici anni. Una propaganda sempre rinnovata, dagli slogan semplici, improntati all'efficientismo di tipo aziendale e diretti a stimolare le istanze più deteriori dei sudditi; di solito attinge a qualche evento proposto dall'incessante flusso mediatico, usando più spesso toni denigratori nei confronti della (presunta) concorrenza che non illustrando i (presunti) successi del committente. Esempio pratico: i prodromi della crisi mondiale e la gestione poco meno che bambinesca dell'ingresso nell'euro operata dal "centrodestra" si sono tradotti un un verticalissimo aumento dei prezzi al consumo, secondo un fenomeno sul quale uno stato contemporaneo ha poco o punto controllo. Questo non ha impedito ai pubblicitari di Berlusconi di attribuirne per intero il demerito, qualche anno fa, a Romano Prodi in persona e solo a lui. Un poster con tre o quattro articoli di largo consumo di cui si evidenziavano gli aumenti di prezzo in percentuale presentava in un brutto font maiuscolo lo slogan Finite le ferie, Prodi presenta il conto.
Gli eletti -e ancor di più i candidati- "occidentalisti" sono un campionario agghiacciante di guitti, sciacquette, maneggioni, casi umani, ignorantelli, pregiudicati, minus habentes, irresponsabili e zerbini dominato da individui la cui unica guida sono l'interesse privato e l'impunità. Come mai i sudditi dello stato che occupa la penisola italiana si sentono rappresentati da elementi del genere? Il successo della compagine non può certo basarsi sulle competenze effettive degli eletti, che sono se mai roba da occultare in silenzio; quindi poggia sostanzialmente sulla propaganda e sulla colpevole ignoranza dei sudditi, indottrinati da un controllo mediatico che non ha uguali al mondo; un controllo che si intreccia in circolo -dal suo punto di vista, virtuoso- con l'interesse economico dei mass media e che mantiene la penisola in condizioni artefatte di terrore sociale e di diffidenza quotidiana, che aizza i sudditi ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette contro nemici costruiti a tavolino e li sollecita alle forme più disgustose ed inutili di consumismo e di individualismo.
Al momento in cui scriviamo sono in corso proteste generazionali contro un ennesimo tentativo di riforma del mondo scolastico ed universitario di cui non ci interessa entrare nel merito.
Ci interessa invece mettere in luce il modo in cui la propaganda "occidentalista" si muove in questo frangente.
La generazione attualmente in piazza va dai quattordici ai venticinque anni ed ha praticamente trascorso la vita sotto l'influenza della propaganda berlusconiana, che certi campioni di fancazzismo vitellone schierati "per la libertà" hanno saputo trasformare in fonte di voti e di reddito, come avveniva nell'estrema destra degli anni Settanta in cui pare fossero in tanti a non vergognarsi affatto di presentarsi come "dirigenti giovanili" nonostante i quarant'anni incombenti.
Una propaganda che è facile presenti sul web vecchi documenti di se stessa, che rispolverati a distanza di qualche anno potrebbero anche generare vergogna. Non è questo il caso: la vergogna, gli "occidentalisti", non sanno neppure cosa sia. A Lecce, Forza Giovani è rimasta ferma al 2001; classico caso di sito commissionato, eseguito, controllato e lasciato crepare in solitudine. Ne traiamo alcune immagini interessanti.
I contestatori? "Terroristi", ovviamente.
Avendo fatto tesoro delle lezioni di propaganda tipiche dei regimi totalitari e possedendo in proprio la malafede ciarliera da piazzista di aspirapolvere del midwest statunitense, l'"occidentalismo" politicante si avvale a meraviglia dei mezzi di comunicazione di massa, di cui sa sfruttare come pochi tutti i pregi e tutti i difetti.
Da qualche anno però esistono nuovi media, come quello su cui compare questo scritto, che permettono a chiunque abbia un po' di tempo e di senso critico di portare agevolmente alla luce gli spaventosi limiti della politicanza suddetta. Silvio Berlusconi inonda la penisola italiana di propaganda da almeno quindici anni. Una propaganda sempre rinnovata, dagli slogan semplici, improntati all'efficientismo di tipo aziendale e diretti a stimolare le istanze più deteriori dei sudditi; di solito attinge a qualche evento proposto dall'incessante flusso mediatico, usando più spesso toni denigratori nei confronti della (presunta) concorrenza che non illustrando i (presunti) successi del committente. Esempio pratico: i prodromi della crisi mondiale e la gestione poco meno che bambinesca dell'ingresso nell'euro operata dal "centrodestra" si sono tradotti un un verticalissimo aumento dei prezzi al consumo, secondo un fenomeno sul quale uno stato contemporaneo ha poco o punto controllo. Questo non ha impedito ai pubblicitari di Berlusconi di attribuirne per intero il demerito, qualche anno fa, a Romano Prodi in persona e solo a lui. Un poster con tre o quattro articoli di largo consumo di cui si evidenziavano gli aumenti di prezzo in percentuale presentava in un brutto font maiuscolo lo slogan Finite le ferie, Prodi presenta il conto.
Gli eletti -e ancor di più i candidati- "occidentalisti" sono un campionario agghiacciante di guitti, sciacquette, maneggioni, casi umani, ignorantelli, pregiudicati, minus habentes, irresponsabili e zerbini dominato da individui la cui unica guida sono l'interesse privato e l'impunità. Come mai i sudditi dello stato che occupa la penisola italiana si sentono rappresentati da elementi del genere? Il successo della compagine non può certo basarsi sulle competenze effettive degli eletti, che sono se mai roba da occultare in silenzio; quindi poggia sostanzialmente sulla propaganda e sulla colpevole ignoranza dei sudditi, indottrinati da un controllo mediatico che non ha uguali al mondo; un controllo che si intreccia in circolo -dal suo punto di vista, virtuoso- con l'interesse economico dei mass media e che mantiene la penisola in condizioni artefatte di terrore sociale e di diffidenza quotidiana, che aizza i sudditi ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette contro nemici costruiti a tavolino e li sollecita alle forme più disgustose ed inutili di consumismo e di individualismo.
Al momento in cui scriviamo sono in corso proteste generazionali contro un ennesimo tentativo di riforma del mondo scolastico ed universitario di cui non ci interessa entrare nel merito.
Ci interessa invece mettere in luce il modo in cui la propaganda "occidentalista" si muove in questo frangente.
La generazione attualmente in piazza va dai quattordici ai venticinque anni ed ha praticamente trascorso la vita sotto l'influenza della propaganda berlusconiana, che certi campioni di fancazzismo vitellone schierati "per la libertà" hanno saputo trasformare in fonte di voti e di reddito, come avveniva nell'estrema destra degli anni Settanta in cui pare fossero in tanti a non vergognarsi affatto di presentarsi come "dirigenti giovanili" nonostante i quarant'anni incombenti.
Una propaganda che è facile presenti sul web vecchi documenti di se stessa, che rispolverati a distanza di qualche anno potrebbero anche generare vergogna. Non è questo il caso: la vergogna, gli "occidentalisti", non sanno neppure cosa sia. A Lecce, Forza Giovani è rimasta ferma al 2001; classico caso di sito commissionato, eseguito, controllato e lasciato crepare in solitudine. Ne traiamo alcune immagini interessanti.
La prima mostra quattro studenti privi di caratteristiche estetiche memorabili. Si dividono due libri e votano Berlusconi "per garantirsi un futuro migliore". Da dove cominciamo? Dall'asserzione secondo cui il paladino del libero mercato, che specie sul piano finanziario è di suo è quanto più ondivago, fluttuante ed incerto esista, è in grado di garantire qualche cosa? Nei sette anni trascorsi da allora la condizione giovanile è riuscita solo a peggiorare: istituzionalizzazione del precariato e sfiducia generalizzata sono il condimento di condotte comportamentali improntate al consumo, caldeggiatissime dai mass media, che in tempi di ristagno economico diventano condotte comportamentali improntate all'indebitamento. Il tutto in un quadro in cui il disimpegno politico e sociale viene presentato come un dovere civico preciso: c'è sempre qualcuno in cravatta che ti spazza sotto il tappeto le vergognose ingiustizie sociali che l'"occidente" produce ed esporta. Se poi qualcuno si azzarda ad obiettare, lo stato che occupa la penisola italiana dispone sempre di trecentomila e più armati, ripartiti in cinque o sei corpi, da sguinzagliargli dietro con la compagnia delle telecamere: i comportamenti individuali e di gruppo finalizzati al consumo e all'indebitamento sono gli unici ad essere presentati come leciti.
La seconda immagine è ancora più interessante perché presenta i tre pilastri della scuola berlusconiana. Affermare che le attuali generazioni sono dotate di un'estesa incompetenza in tutti e tre i campi dell'Internet, dell'Impresa e dell'Inglese sarebbe un tirare sulla Croce Rossa; comunque concepita e comunque si tenti di riformarla, è l'istituzione scuola nella sua interezza ad uscire a pezzi dal confronto e dal contrasto col mondo esterno. La penisola italiana è un territorio unico al mondo perché è il solo nel quale l'ignoranza -che sia intesa come incultura o come modalità di rapportarsi con gli altri, o, più spesso, come un miscuglio delle due cose- non venga percepita come qualcosa di vergognoso. L'incultura e la maleducazione vengono legittimate dai media che ne presentano continui e martellanti casi, mentre legittimano con ogni mezzo l'individualismo più idiota; anni fa una fastidiosa campagna pubblicitaria per un servizio di informazioni telefoniche a pagamento arrivò a presentare come fuori dal mondo il protagonista dello spot, ritratto mentre, anziché avvalersi del servizio pubblicizzato, chiedeva un'indicazione stradale ad un passante per strada. I contenuti mediatici impattano su un aggregato di sudditi addestrati a recepirli senza obiezioni e a riprodurne le dinamiche nella vita reale; in concreto, ai responsabili ed ai protagonisti di una società ad avanzata industrializzazione vengono di continuo suggeriti comportamenti meschini, irresponsabili e distruttivi, con l'intento neanche troppo celato di scardinare alla base qualunque tipo di struttura sociale rischi di rallentare un processo di mercificazione sempre più perfezionato ed invasivo.
Questo l'ambiente di cui la scuola delle tre "I" è frutto ed artefice al tempo stesso. Il contrasto con realtà quotidiane più normali, come quella dei villaggi dello Yemen in cui si viene accolti da gruppi di bambini allegrissimi che per prima cosa ti mostrano i loro libri scolastici, non potrebbe essere più stridente e rivelatore.
Nel 2008 sono scesi in piazza proprio le generazioni che della scuola dalle tre "I" avrebbero dovuto trarre di che "garantirsi un futuro migliore". Contro questa generazione la propaganda "Occidentalista" impiega armi vecchissime e trucchetti da gabolista di vicolo. Uno dei più ricorrenti è il pubblicare lettere dei soliti cittadini da un pezzo arrivati alle comodità della pensione e del memorialismo, magari sul groppone di quella greppia-stato che a parole tutti disprezzano tanto: i manifestanti non sarebbero in grado di enunciare correttamente i motivi della loro protesta, né i contenuti della riforma. Non è certo strano. Le tre "I" alla base della loro istruzione non contemplano né l'analisi critica dei testi e documenti, né l'acquisizione di quelle competenze retoriche che li possano mettere in grado di comportarsi con efficacia davanti alle onnipresenti telecamere che al tg serale servono ai sudditi la Verità "occidentale". Competenze del genere si affinano con altri mezzi e con altre frequentazioni.
Altra arma, la contrapposizione tra chi "vuole studiare" e i "manifestanti". La nostra esperienza con licei ed affini si è conclusa da più di quindici anni, nel corso dei quali abbiamo visto qualcuno tra i "manifestanti" accedere ai medi gradi del baraccone politico, ma anche a quelli del lavoro e dell'impresa; ce ne sono stati anche di quelli che al primo affitto da pagare hanno arrotolato la bandiera della "contestazione", ma i destini dei "manifestanti" ci appaiono, a distanza di tempo, molto più variegati e in definitiva appaganti rispetto a quelli di quanti "volevano studiare".
Salvo poche eccezioni che fanno pensare a fulminazioni sulla via di Damasco (anche in senso letterale) abbiamo visto coloro che "volevano studiare", specie se donne, coltivare illusioni d'onnipotenza consumistica per spiaggiarsi in men che non si dica nella mediocrità servile dei sottoposti rancorosi o, peggio, monopolizzare in blocco quei settori di "studi" o "agenzie" dediti a pratiche tra il fumoso e l'inutile (a volte anche il nocivo) e che campano in blocco al rimorchio delle classi produttive. In altre parole, coloro che "vogliono studiare" rappresentano quasi per intero il vivaio elettorale dell'"Occidentalismo". Ma "vogliono studiare" davvero, i loro rappresentanti attuali? Verrebbe da chiederselo, perché i ranghi della politicanza "occidentalista" pullulano di individui che risultano studenti universitari da tempo immemorabile, e la nostra esperienza diretta ci suggerisce anche che, il più delle volte, il settore della politicanza sia quello cui si destinano di default i figli di famiglia non all'altezza delle aspettative, quelli che è bene non mandarli in fabrichéta per evitare che facciano troppi danni. La scuola delle tre "I" sta producendo non cittadini ma sudditi, consumatori ricattabili ed isolati che la minima privazione colma di rabbiette isteriche e piccine e per i quali è normale che una scatola di biscotti conti più della vita di un essere umano. Perché il succo dell'integrazione "occidentale", in sostanza, è questo.
Questo l'ambiente di cui la scuola delle tre "I" è frutto ed artefice al tempo stesso. Il contrasto con realtà quotidiane più normali, come quella dei villaggi dello Yemen in cui si viene accolti da gruppi di bambini allegrissimi che per prima cosa ti mostrano i loro libri scolastici, non potrebbe essere più stridente e rivelatore.
Nel 2008 sono scesi in piazza proprio le generazioni che della scuola dalle tre "I" avrebbero dovuto trarre di che "garantirsi un futuro migliore". Contro questa generazione la propaganda "Occidentalista" impiega armi vecchissime e trucchetti da gabolista di vicolo. Uno dei più ricorrenti è il pubblicare lettere dei soliti cittadini da un pezzo arrivati alle comodità della pensione e del memorialismo, magari sul groppone di quella greppia-stato che a parole tutti disprezzano tanto: i manifestanti non sarebbero in grado di enunciare correttamente i motivi della loro protesta, né i contenuti della riforma. Non è certo strano. Le tre "I" alla base della loro istruzione non contemplano né l'analisi critica dei testi e documenti, né l'acquisizione di quelle competenze retoriche che li possano mettere in grado di comportarsi con efficacia davanti alle onnipresenti telecamere che al tg serale servono ai sudditi la Verità "occidentale". Competenze del genere si affinano con altri mezzi e con altre frequentazioni.
Altra arma, la contrapposizione tra chi "vuole studiare" e i "manifestanti". La nostra esperienza con licei ed affini si è conclusa da più di quindici anni, nel corso dei quali abbiamo visto qualcuno tra i "manifestanti" accedere ai medi gradi del baraccone politico, ma anche a quelli del lavoro e dell'impresa; ce ne sono stati anche di quelli che al primo affitto da pagare hanno arrotolato la bandiera della "contestazione", ma i destini dei "manifestanti" ci appaiono, a distanza di tempo, molto più variegati e in definitiva appaganti rispetto a quelli di quanti "volevano studiare".
Salvo poche eccezioni che fanno pensare a fulminazioni sulla via di Damasco (anche in senso letterale) abbiamo visto coloro che "volevano studiare", specie se donne, coltivare illusioni d'onnipotenza consumistica per spiaggiarsi in men che non si dica nella mediocrità servile dei sottoposti rancorosi o, peggio, monopolizzare in blocco quei settori di "studi" o "agenzie" dediti a pratiche tra il fumoso e l'inutile (a volte anche il nocivo) e che campano in blocco al rimorchio delle classi produttive. In altre parole, coloro che "vogliono studiare" rappresentano quasi per intero il vivaio elettorale dell'"Occidentalismo". Ma "vogliono studiare" davvero, i loro rappresentanti attuali? Verrebbe da chiederselo, perché i ranghi della politicanza "occidentalista" pullulano di individui che risultano studenti universitari da tempo immemorabile, e la nostra esperienza diretta ci suggerisce anche che, il più delle volte, il settore della politicanza sia quello cui si destinano di default i figli di famiglia non all'altezza delle aspettative, quelli che è bene non mandarli in fabrichéta per evitare che facciano troppi danni. La scuola delle tre "I" sta producendo non cittadini ma sudditi, consumatori ricattabili ed isolati che la minima privazione colma di rabbiette isteriche e piccine e per i quali è normale che una scatola di biscotti conti più della vita di un essere umano. Perché il succo dell'integrazione "occidentale", in sostanza, è questo.